Il mondo si è informatizzato, pc in ogni casa e ufficio, programmi che aiutano a scrivere, a far di conto, a disegnare, ad archiviare e via discorrendo; la rete supporta ogni tipo di invio, da quello semplice a quello multimediale “polifonico” ed organizzazioni e aziende hanno speso e continuano a spendere soldi per rendere sempre più digitale la loro organizzazione. Insomma, mentre alcuni stanno cominciando a perdere l’abitudine di scrivere alla vecchia maniera (carta e penna ndr.), tutti ormai hanno imparato ad usare i tasti di una tastiera, o di un touch screen. Tutto questo mastodontico insieme denominato ITC, interrompe la sua ragione d’essere di fronte all’inarrestabile processo di “stampa per la firma”.

    Ma cosa stiamo aspettando?

    Il valore probatorio della firma digitale

    Il legislatore ci ha detto da ormai più di 10 anni che la firma digitale viene equiparata a quella autografa, oltre a essere riconosciuta come un vero e proprio sigillo. Di più, a differenza di quanto è previsto per la firma tradizionale/autografa, in caso di contestazioni in tribunale deve essere il presunto firmatario a dover dimostrare di non aver messo il proprio timbro in calce al documento contestato, e se non riesce a provare il contrario, la firma viene considerata autentica (Codice di Amministrazione Digitale – D.Lgs 82/2005: il documento informatico, sottoscritto con firma digitale, o con un altro tipo di firma elettronica qualificata, ha l’efficacia prevista dall’articolo 2702 del codice civile. L’utilizzo del dispositivo di firma si presume riconducibile al titolare, salvo che questi dia prova contraria). In altre parole la credibilità della firma digitale è decisamente più pesante di quella di una normale firma elettronica, o autografa.

    La firma digitale remota

    Ancora, il legislatore, lo scorso anno, ha dato una bella spinta, con il DPCM del 30 marzo 2009, per facilitare l’adozione dei processi di firma digitale, introducendo il concetto di firma digitale remota, che rende possibilie il passaggio da un approccio distribuito, basato per così dire su smart-card, ad un aproccio centralizzato basato su server/appliance di firma remota, denominati HSM (Hardware Security Module), da me affettuosamente soprannominati “scatole sicure”.

    La tecnologia (gli HSM di cui sopra) è ormai pronta da tempo nel supportare l’adozione di processi di firma in azienda, in alcuni casi molte soluzioni tecnologiche hanno raggiunto semplificazioni d’uso tali da bastare due semplici click per firmare un documento, il primo sul token OTP, per la garanzia di un’autenticazione forte, il secondo sul pulsante firma del nostro applicativo (sistema di editing, di workflow documentale, di acquisto, ecc. ecc.), che ci consente di firmare il nostro documento attraverso l’uso della firma remota.

    E allora rifacciamoci la domanda, cosa stiamo aspettando? Perchè, pur consapevoli che l’adozione della firma digitale consente di accelerare i processi di approvazione e recupero di produttività del personale, realizzando ROI in meno di un anno, riducendo drasticamente, fino ad eliminare, i costi derivanti da stampa, postalizzazione, scansioni, archiviazione e non ultimo il costo per ritrovare e riprodurre documenti andati persi, continuiamo ad assistere inermi all’inarrestabile processo di “stampa per la firma”? … magari in triplice copia e con qualche timbro, “grazie”.