“Abbiamo fatto un progetto di firma digitale, ma poi nessuno l’ha utilizzata”

    “Con il progetto di firma digitale abbiamo fatto un bagno di sangue e adesso i nostri responsabili non ne vogliono più sentire parlare”

    “La firma digitale ce l’abbiamo, ma la utilizziamo solo per la conservazione sostitutiva”

    Le affermazioni fatte da chi ha “provato” ad usare la firma digitale nei suoi processi documentali, parlano di una tecnologia ancora oggi complicata, costosa e utilizzata per scopi marginali.

    Dalle analisi del F.E.S.A. (Forum of European Supervisory Authorities for Electronic Signatures)  http://www.fesa.eu/  è emerso che nel 2002 l’Italia era con 500.000 certificati lo Stato con la maggiore diffusione di certificati, seguita dalla Norvegia con 32.000 e dalla Germania con 26.000. Nel primo trimestre 2004 il numero dei dispositivi rilasciati in Italia per la firma digitale ha superato 1.250.000 unità e, ad oggi, abbiamo superato la soglia di 3.200.000 di unità. Questi numeri suggerirebbero un grande utilizzo dello strumento firma digitale in Italia, mentre così non è, in quanto gli oltre 3 milioni di firme digitali vengono utilizzate principalmente per adempimenti obbligatori di ordine amministrativo/fiscale (tipicamente l’invio telematico dei bilanci delle società alle CCIAA) e dove molto spesso, i titolari dello strumento delegano l’operazione di firma a chi, per loro conto, è incaricato agli adempimenti di cui sopra (leggasi ragionieri, commercialisti, avvocati, ecc.).

    In altri termini, la firma digitale è una tecnologia necessaria e diffusa, ma ancora oggi complicata da usare.